Durante la convivenza, uno dei partner partecipa alla costruzione della casa sul terreno di proprietà esclusiva dell’altro. La coppia vive nell’immobile per qualche tempo e poi la relazione cessa. A questo punto, il soggetto non titolare del diritto di proprietà ha diritto ad ottenere la rifusione degli esborsi effettuati?
I giudici di legittimità in situazioni del genere affermano la non applicabilità della regola prevista in materia di accessione (art.936 c.c.), in base alla quale il proprietario del fondo può decidere di mantenere l’opera realizzata sul suo terreno corrispondendo un’indennità all’autore. Il convivente, infatti, non può considerarsi terzo – come, invece, prevede la citata disposizione – dal momento che è tale solo il soggetto che non abbia con il proprietario alcun rapporto giuridico, reale o personale, che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo. L’ex compagno può agire in giudizio, eventualmente, solo esperendo l’azione di arricchimento senza causa purché le somme erogate non rientrino nella disciplina delle cosiddette obbligazioni naturali, ovvero non sia ravvisabile un rapporto di proporzionalità tra tali somme versate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi. Tale azione ha natura sussidiaria e può essere esercitata solo laddove il danneggiato non possa esperire un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito (art.2042 c.c.). L’arricchimento senza causa rientra tra “gli altri fatti” idonei a costituire fonte di obbligazione (art. 1173 c.c.). Nel nostro ordinamento, ogni spostamento di ricchezza deve essere giustificato così come ogni arricchimento deve dipendere dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela. L’azione di arricchimento senza causa ha come presupposti:
- l’arricchimento di una parte (in questi casi, il partner che si giova dell’immobile costruito dall’ ex convivente);
- la diminuzione patrimoniale dell’altra parte (l’ex convivente ha realizzato l’opera con le proprie sostanze e, quindi, ha subito un depauperamento nella propria sfera patrimoniale),
- la mancanza di una causa giustificativa.
Non può, però, parlarsi di ingiusto arricchimento «qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale».
Nell’ambito di un rapporto more uxorio, si può parlare di ingiustizia dell’arricchimento solo quando le prestazioni a vantaggio di uno dei due partner esulino dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalichino i limiti di proporzionalità e adeguatezza. Il contenuto di tali obbligazioni va valutato alla luce delle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto.
Nei rapporti di convivenza, solitamente, il conferimento del denaro e la prestazione del lavoro avvengono su base volontaria. Nella fattispecie in esame, se la costruzione dell’immobile si inserisce all’interno del progetto di vita della coppia, in virtù del principio dell’accessione, il fabbricato rientra nella proprietà esclusiva del convivente titolare del suolo e va escluso l’animus donandi da parte dell’altro, in quanto la realizzazione dell’opera faceva parte del comune progetto familiare.
Pertanto, quando la convivenza cessa, il convivente non proprietario del bene ha diritto:
- di recuperare le somme spese e di essere indennizzato per il lavoro (volontariamente) svolto nei limiti di quanto previsto dall’azione di indebito arricchimento, ma occorre però indagare sull’entità degli esborsi e dei conferimenti per valutare se sia applicabile la disciplina delle obbligazioni naturali.
- Nell’ambito del rapporto more uxorio, si può parlare di obbligazione naturale solo nel caso in cui: le somme erogate abbiano come effetto esclusivo l’arricchimento del partner; sia ravvisabile un rapporto di proporzionalità tra tali somme e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi.
In estrema sintesi, quindi in tali circostanze l’ art. 936 c.c. NON trova applicazione, poichè può essere invocato e richiamato “soltanto quando l’autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo. La norma non si applica nell’ipotesi in cui le opere siano state realizzate dal convivente o da chi sia legato ad una relazione sentimentale con il proprietario del suolo ed abbia impiegato denaro e tempo libero per la costruzione dell’abitazione comune e non a vantaggio esclusivo del convivente»