Con una recente ordinanza (n. 26594 del 18 ottobre 2019) la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalle Sezioni Unite nel 2018, ovvero ha confermato la funzione puramente assistenziale dell’assegno divorzile, che non spetta al richiedente se privo di mezzi adeguati per sua libera scelta.
La pronuncia in esame trae origine da un procedimento di divorzio promosso dinanzi al Tribunale di Verbania, che, dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, affidava i due figli della coppia al padre, ponendo a suo carico un assegno divorzile mensile in favore della ex moglie e imponendo a quest’ultima un contributo mensile di pari importo per il mantenimento dei figli.
Veniva proposto appello dall’ex marito, dinanzi alla Corte d’appello di Torino che, accogliendo il suo gravame, revocava l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile posto a suo carico; respingendo, al contempo, l’appello incidentale proposto dalla ex moglie, finalizzato ad ottenere un aumento del predetto assegno e l’affidamento condiviso dei figli, che la madre dichiarava di poter accogliere presso la propria residenza.
La Corte d’appello motivava la sua decisione sul disinteresse mostrato dalla madre nei confronti dei figli e sul fatto che la richiedente, pur essendo ancora giovane e pienamente in grado di lavorare, avesse volontariamente abbandonato il proprio impiego di commessa in un supermercato.
A detta della Corte mancava, pertanto, uno “stato di bisogno” dell’istante, tale da giustificare la corresponsione in suo favore di un contributo al mantenimento da parte dell’ex coniuge. Osservava ulteriormente che, anche se vi si fosse trovati dinanzi ad un reale stato di bisogno, sarebbe stato comunque frutto di una scelta volontaria e consapevole della richiedente, che avrebbe ben potuto continuare a lavorare, magari cercando nel frattempo un impiego più redditizio o più confacente alle proprie esigenze.
Di qui l’accoglimento dell’appello principale, con revoca di corresponsione dell’assegno divorzile.
La signora proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea valutazione dei presupposti giustificanti la revoca dell’assegno in suo favore.
Ma la Cassazione, come detto, ha confermato la pronuncia resa dalla Corte d’appello, chiarendo che l’assegno divorzile ha funzione puramente assistenziale, avendo come solo scopo quello di garantire l’autosufficienza economica al coniuge che non è in grado di provvedervi con la propria capacità lavorativa e non dispone di redditi adeguati. La Corte osserva che la funzione assistenziale e al contempo perequativa e compensativa dell’assegno trova conferma anche nella pronuncia resa dalle Sezioni Unite ( Cass. Civ. SS. UU. n. 18287/2018) ove si legge, tra l’altro, che il riconoscimento dell’assegno in favore dell’ex coniuge richiede che sia accertata l’inadeguatezza dei mezzi dell’istante e la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
L’assegno divorzile non ha più lo scopo di ripristinare il tenore di vita goduto dai coniugi (ed in particolare dal richiedente) in costanza di matrimonio, ma quella di riconoscere e valorizzare il ruolo e il contributo fornito dall’istante alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale degli ex coniugi.
Il giudice cui sia richiesto di stabilire se, ed eventualmente in che misura spetti l’assegno divorzile, dovrà infatti procedere secondo l’iter logico delineato nella citata pronuncia.
In primo luogo dovrà comparare, anche d’ufficio, le condizioni economico-patrimoniali delle parti.
Nel caso in cui sia provato che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà valutare se tale sperequazione dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio.
All’esito di tali valutazioni il giudice dovrà quantificare l’assegno divorzile, rapportandolo non più al pregresso tenore di vita familiare, né all’autosufficienza economica del richiedente, ma avendo come unico scopo quello di garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo precedentemente fornito.
Nel caso di specie per i Supremi Giudici la Corte d’Appello aveva correttamente rilevato che l’eventuale inadeguatezza di mezzi della ricorrente non dipendeva dalla sua incapacità lavorativa o da fattori esterni alla sua volontà, ma al contrario da una sua scelta libera e volontaria di abbandonare l’occupazione che fino ad allora le aveva garantito un reddito fisso. Inoltre, in merito all’indagine sul contributo fornito dall’istante, l’istruttoria svolta non aveva dato prova che questa avesse concorso, in maniera rilevante, alla formazione del patrimonio comune e alla cura della famiglia, o che le sue aspettative lavorative fossero state sacrificate a vantaggio delle esigenze familiari. Di qui la conclusione che la decisione di revoca dell’assegno divorzile, disposta dalla Corte di merito, era pienamente rispondente ai parametri dell’art. 5 della Legge n. 898/1970, così come interpretato dalla recente giurisprudenza delle Sezioni Unite.