In una recente sentenza la Corte di Cassazione (n. 1606/2017) si è pronunciata sulla risarcibilità del danno non patrimoniale in relazione alle immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., che dispone:” il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”
Il caso di specie vedeva il sig. P.B., la moglie di questo Z.M. e i loro figli P.G. e P.A., convenire in giudizio dinanzi al Tribunale competente il sig. P.E., fratello del primo degli attori. I sigg.ri P.B., Z.M. P.G. e P.A., chiedevano, tra l’altro, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e morali conseguenti alle immissioni contestate di gas nocivi (derivanti dalla verniciatura del ferro) e rumore provenienti dal suo fondo, nonchè la cessazione dell’attività ivi svolta da P.E., consistente in un’officina di lavorazione del ferro. Il convenuto si costituiva contestando le pretese avversarie.
In primo grado il Tribunale adito accoglieva le domande degli attori e condannava P.E. alla cessazione delle immissioni acustiche con inibizione all’uso di determinati macchinari ed al risarcimento dei danni. Il P.E. impugnava la sentenza, ma la Corte d’Appello competente confermava sul punto la sentenza del Tribunale, ritenendo che, pur in assenza di documentazione medica, le intollerabili immissioni acustiche provenienti dall’attività di fabbro di P.E. avessero leso, secondo massime di comune esperienza, il diritto di P.B., Z.M., P.G. e P.A. alla salute, ovvero ad una dignitosa qualità della vita.
P.E. propone, quindi, ricorso per Cassazione, censurando con il quinto motivo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 844, 2043, 2056, 2697 e 1226 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c: in estrema sintesi, lamentando la liquidazione dei danni non patrimoniali operata in via equitativa pur in difetto di prova dell’esistenza effettiva dei danni stessi, e dunque compiuta sulla scorta della mera potenzialità lesiva dell’evento.
La Suprema Corte rigetta il ricorso e, per quanto attiene al profilo risarcitorio, osserva, uniformandosi a principi già consolidati, che: “il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. “comunitarizzazione” della Cedu” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20927 del 16/10/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26899 del 19/12/2014).
Per la Corte di Cassazione ben ha motivato e deciso la Corte di appello, sulla base di tale principio, in merito all’esistenza di un pregiudizio alla libera e normale esplicazione della personalità ed alla qualità della vita di P.B., Z.M., P.G. e P.A., pregiudizio riconducibile allo stress ed al grave disagio provocato dalle immissioni sonore provenienti dalla vicina officina e percepibili nell’abitazione di quelli. Inoltre, continua la Suprema Corte, la Corte territoriale ha ritenuto giustamente nella specie ravvisabili gli estremi del reato di cui all’art. 659 c.p.(disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone), sussistendo la potenzialità del rumore ad investire tutti coloro che ne sono a contatto, mentre ha escluso la configurabilità dell’art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose): sempre ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell’art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p., quello che rileva non è che il fatto illecito integri, in concreto, un reato piuttosto che un altro, né occorre una condanna penale passata in giudicato, ma è sufficiente che il fatto stesso sia soltanto astrattamente previsto come reato, sicché è sufficiente a tal fine l’accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza, secondo la legge penale, degli elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice.
Immissioni illecite: lesione del diritto ad una dignitosa qualità della vita e risarcibilità del danno