Il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter comma 1 c.c.). Tale diritto è speculare a quello di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli, affinché il principio della bigenitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione, non solo nell’interesse del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata, ma anche affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole (art. 147, 315 bis e 316 c.c.).
Tuttavia, l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere il legame con i figli deve avvenire avendo sempre come parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell’età del figlio minore.
Tali principi sono stati oggetto anche di specifiche statuizioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, che ha avuto modo di precisare che la coercizione per il raggiungimento dell’obiettivo di mantenimento del legame familiare deve essere utilizzata con estrema prudenza e misura e deve tenere conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte e in particolare dell’interesse superiore del minore (cfr. CEDU Santilli/Italia cit. §67; CEDU Volesky/ Rep. Ceca del 29.06.2004, § 118).
Ne consegue, ad esempio, che, in caso di minore quindicenne che esprima in modo fermo la volontà di non frequentare il genitore secondo parametri fissi e rigidi, non può questa volontà essere dal Tribunale superata, nemmeno attraverso il ricorso ad una consulenza tecnica specifica ordinata dal Giudice sul minore.
Rapporti familiari e volontà del minore