L’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale che il creditore può esperire per rendere inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.
La Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 14649/2016 ha disposto che anche il coniuge può esperire l’azione revocatoria per la tutela di un credito litigioso, vantato in fase di separazione, poiché tale azione può essere avanzata non solo per tutelare un credito certo, liquido ed esigibile, ma, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito.
I fatti da cui trae origine tale decisione riguardano la vicenda di una donna che aveva esperito azione revocatoria ordinaria contro degli atti di compravendita che il marito aveva posto in essere con il padre e sorella, nello specifico vendendo alla sorella la quota del 50% di un’unità immobiliare oggetto di comunione ordinaria e al padre un motociclo e una autovettura.
Tali atti, secondo la donna, avevano recato pregiudizio alle sue ragioni creditorie, essendo avviato il processo per la separazione personale giudiziale e vantando la stessa verso il marito crediti per più titoli.
In primo grado il Tribunale di Milano accoglieva la domanda della donna limitatamente alla vendita della quota immobiliare del marito alla sorella. Tale decisione veniva impugnata dinanzi la Corte d’Appello di Milano che la confermava, osservando ulteriormente che l’azione revocatoria può ben essere proposta anche a sostegno di crediti litigiosi, accertati o da accertarsi in altra sede e reputando, nel caso specifico, sufficientemente provato il requisito soggettivo in capo al terzo acquirente in ragione del legame di parentela tra il debitore e il suo avente causa, dalla sproporzione tra il prezzo di vendita e il valore di mercato dell’immobile, nonché dalla trasformazione della quota di proprietà immobiliare del debitore in denaro.
Anche tale decisione veniva impugnata dal marito e dalla di lui sorella, che presentavano ricorso in Cassazione.
Ma, anche in questa Sede, le loro censure sono state respinte poiché per i Giudici della Suprema Corte non erano fondate, ritenendo, di contro, giusta la decisione assunta dalla Corte d’ Appello di Milano che, sulla scorta dell’esame delle risultanze probatorie acquisite, aveva evidenziato con motivazione sufficiente e congrua la consistenza plausibile dei crediti (alimentari, da attività lavorativa e per esborsi nei confronti di istituti bancari), anche litigiosi, della moglie, nonché l’obiettiva “valenza lesiva” della alienazione del cespite immobiliare del marito sulle ragioni creditorie della stessa, dando così prova della sussistenza dei presupposti oggettivi dell’azione revocatoria ordinaria esperita.
Inutile, inoltre, per il marito-ricorrente è stato assumere l’esistenza di altri debiti scaduti al fine di dimostrare il nesso di strumentalità tra la compravendita immobiliare oggetto di causa e la sua posizione debitoria pregressa, poiché la Corte ha ribadito che, al fine di andare esenti da revocatoria, serve la prova che il debitore non aveva altra possibilità per soddisfare tale debito: prova che nel caso di specie non è stata ritenuta sussistente.
Infine, la Corte ha ribadito che, per la finalità di cui all’azione ex art. 2901 c.c., non è necessaria la c.d. scientia fraudis, ossia la complicità del terzo acquirente, essendo sufficiente la sola consapevolezza (cd. scientia damni) che questi abbia di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie e che la prova di tale atteggiamento può essere raggiunta in giudizio anche tramite presunzioni, alla stregua di un apprezzamento devoluto al giudice di merito che rimane incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato.
Separazione ed azione revocatoria contro il coniuge