Il 20 maggio 2016 è stata approvata dalla Camera la legge n. 76/2016 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 2016 e che entrata in vigore il 5 giugno 2016.
La legge in esame disciplina, due nuovi istituti:
- l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale “specifica formazione sociale”;
- la convivenza di fatto, sia tra un uomo ed una donna che tra due persone dello stesso sesso.
Le unioni civili (di cui ci si riserva una più approfondita disamina in separata sede) restano riservate alle sole coppie omosessuali, mentre le convivenze di fatto si rivolgono alle tutte le coppie di fatto, sia omosessuali, sia eterosessuali, che hanno deciso di non contrarre un matrimonio (o, se dello stesso sesso, un’unione civile).
Per il riconoscimento giuridico delle convivenze di fatto nella legge n. 76/2016 troviamo espressamente riportato che debba trattarsi di convivenza tra due persone maggiorenni (dello stesso sesso o di sesso diverso), che siano unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (ai sensi dell’art. 4 d.p.r. 223/1989); ed infine tra le stesse non deve sussistere alcun vincolo di parentela, affinità o adozione, o vincolo derivante da matrimonio o da un’unione civile.
In quanto situazione di fatto, la convivenza non richiede una sua formalizzazione, ma è evidente che la sua rilevanza giuridica impone necessariamente un suo accertamento: a tal fine la normativa in esame richiama il concetto di famiglia anagrafica di cui all’art. 4 del d.p.r. 223/1989, e richiede pertanto che vi sia una coabitazione risultante da un certificato di stato di famiglia.
La legge riconosce a ciascun convivente:
- gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (estendendo la limitata tutela già riconosciuta dalla legge 26 luglio 1975, n. 354);
- il diritto di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari in caso di malattia o di ricovero;
- il potere di conferire, in forma scritta e autografa (oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone) un mandato con il quale designare l’altro convivente quale rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute (c.d. testamento di vita); b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie (c.d. mandato post mortem exequendum);
- la possibilità di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno (nonché di essere indicato ex art. 712 c.p.c. nella domanda per l’interdizione, inabilitazione o per la nomina dell’amministratore di sostegno).
Per quello che concerne la casa di abitazione la nuova normativa prevede – fatto salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies c.c. per l’assegnazione della casa familiare (applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi) – che, in caso di morte del convivente proprietario della casa di comune residenza “il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni “(che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite smetta di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto. Di contro, in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto di locazione.
Nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
La legge in esame estende al convivente di fatto la disciplina propria dell’impresa familiare, e propone l’inserimento nel codice civile un nuovo articolo 230-ter in base al quale riconoscere al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente (e tale collaborazione non derivi da un rapporto di lavoro subordinato o di società) una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.
Il diritto al risarcimento del danno in caso di morte derivante da fatto illecito spetta anche al convivente di fatto.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere al convivente il diritto di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza medesima, in presenza degli stessi presupposti e nelle misure già previste nel codice civile per i coniugi: ovvero quando il convivente versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’articolo 433 del c.c., l’obbligo alimentare del convivente è anteposto a quello che grava sui fratelli e sorelle della persona in stato di bisogno.
Nessun diritto spetta ex lege al convivente, in caso di morte del compagno, dal punto di vista successorio.
Ad ogni buon conto, i rapporti patrimoniali tra conviventi possono essere formalizzati e disciplinati tramite i contratti di convivenza, che devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Per garantirne l’opponibilità a terzi il professionista che autentica o riceve l’atto deve provvedere, entro dieci giorni, a trasmettere copia del contratto al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi del regolamento di cui al d.p.r. 223/1989.
I contratti di convivenza sono affetti da nullità insanabile se conclusi: in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza; se conclusi tra tra non conviventi ai sensi della legge in esame; da persona minore di età; da persona interdetta giudizialmente; se conclusi in violazione della predisposizione di cui all’articolo 88 c.c. che dispone che non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra.
Gli effetti rimangono invece sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il descritto delitto di cui all’articolo 88 c.c., sino alla pronuncia di proscioglimento.
I contratti di convivenza devono contenere: l’indicazione della residenza comune; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni (che dunque in questo caso non richiederebbe necessariamente la forma di cui all’art. 163 c.c.).
Non è prevista l’apposizione di termini o condizioni (che, ove indicati, si hanno per non apposti) e possono essere modificati – anche relativamente al regime patrimoniale prescelto – in qualunque momento con le medesime forme richieste per la loro sottoscrizione.
I contratti di convivenza possono essere risolti per: 1) accordo delle parti (nelle forme prescritte per la loro sottoscrizione, ovvero tramite notaio e/o avvocato con autenticazione firme e pedissequa trasmissione al comune di residenza); 2) recesso unilaterale da esercitarsi con dichiarazione ricevuta da notaio o autenticata da notaio o avvocato, che sono tenuti a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Infine, si prevede che, nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione; 3)matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona (il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile); 4) morte di uno dei contraenti (il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza).
Laddove i conviventi avessero adottato il regime patrimoniale della comunione dei beni, la risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e l’applicazione, nei limiti della compatibilità, delle previsioni del codice civile per lo scioglimento della comunione legale tra coniugi.
Nel caso di convivenza tra soggetti aventi nazionalità diversa, la legge in esame prevede che si debba applicare – salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima – la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.