La violenza assistita sui minori è una forma di violenza domestica che si realizza nel caso in cui il minore è obbligato, suo malgrado, ad assistere a ripetute scene di violenza sia fisica che verbale tra i genitori o, comunque, tra soggetti a lui legati affettivamente, che siano adulti o minori.
La violenza assistita, è una vera e propria forma di maltrattamento psicologico, che il più delle volte è sottovalutato o addirittura ignorato, che riverbera i suoi effetti sul minore a livello emotivo, cognitivo, fisico e relazionale.
Il minore potrà subire un’esperienza diretta della detta violenza, quando viene obbligato a vedere tali soprusi, o semplicemente quando non viene tutelato adeguatamente e ne rimane irresponsabilmente spettatore. La violenza assistita, può essere anche indiretta, ovvero, quando il minore ne è messo inconsciamente (o, in alcuni casi, volontariamente) al corrente facendogli, in tal modo, subire gli effetti negativi delle violenze quotidiane che si perpetrano in famiglia. I minori essendo incapaci di intervenire per arginare il disagio a cui sono costretti ad assistere e di cui sono vittime, seppur già confusi ed impauriti, vengono portati a sentirsi anche in colpa, dato anche il loro senso di impotenza, per la situazione di cui sono spettatori o che percepiscono. E’ facile intuire che se tale esposizione è continua, lo sviluppo del minore è seriamente compromesso e può minare la crescita dell’individuo fino a fargli assumere, anche nell’età adulta, la violenza e la prevaricazione come abito mentale e strumento relazionale.
Quando la violenza assistita è vissuta dai minori in un contesto familiare dove vi è un adulto violento (di solito il padre), questi cercano di evitare qualsiasi contatto con il soggetto agente, rapportandosi con lui solo in casi estremi e con molta circospezione e paura. Si cerca in tal modo di evitare qualsiasi situazione che possa sfociare in una lite, appunto perché si percepisce la propria impotenza e fragilità.
Può succedere, anche, che nel minore scatti il c.d. “meccanismo di identificazione” con il soggetto violento, in modo tale che si riesce a dare dignità al genitore violento, “dipingendolo” come buono. Con tale meccanismo il minore trasferisce le colpe dell’ adulto violento su se stesso, in modo tale da poter vivere il proprio padre o la propria madre come “bravi genitori”. Tutto ciò nell’estremo tentativo di difendersi dalla situazione drammatica che sta vivendo e a cui non riesce a dare né una spiegazione, né a trovare una soluzione, scindendo, in estrema sintesi, il mondo reale da quello da lui introiettato, al fine di “sopravvivere” al trauma subito.
Si può anche assistere alla messa in atto di strane “alleanze” tra i soggetti coinvolti. Per le madri, di solito, è la relazione di coppia che vivono che le porta a cercare amore e valorizzazione fuori dalla stessa, ovvero nei figli, che utilizzano quali strumento e perno per trovare il coraggio di allontanarsi dal compagno violento. Il padre violento, invece, potrebbe ricercare tale alleanza, al fine di “redimersi”, di “scusarsi”, ad esempio, usando violenza contro la mamma stessa e giustificando tali soprusi denigrando e diffamandone la figura: “tua madre non è una brava donna…pensa solo a lei…mi tradisce…non ti vuole bene….ci vuole abbandonare… si comporta male…etc. etc.”. Spesse volte, tale circolo di violenze e l’ assuefazione a tali “giustificazioni” portano la madre a trascurare i figli, poiché troppo forte il suo senso di colpa e la paura, che non le permette di affrontare la situazione in modo diverso, pertanto attua dei meccanismi di raggiro nei confronti dei figli che arrivano fino alla completa chiusura nei loro riguardi. In tal modo, venendo a rafforzare la posizione del padre-violento ed abusante e, quindi, una situazione di stallo e di dipendenza emotiva e psicologica molto pericolosa.
Altre volte, i minori, capovolgendo lo schema naturale del rapporto genitori-figli, tendono ad assumere un ruolo protettivo nei confronti della madre, con tutte le inevitabili conseguenze, non solo di ordine psicologico ed emotivo, ma spesso anche fisico, poiché si espongono direttamente agli episodi di violenza intrafamiliare.
Può anche accadere che i genitori, per schermarsi dalle loro “debolezze”, inducano i figli a sentirsi responsabili dei loro litigi, esponendoli a sensi di colpa progressivi, oppure li riempiano di regali che, ovviamente, sono solamente l’ennesimo palliativo al forte disagio che vive tutta la famiglia: dei minori che hanno solo dei temporanei, insufficienti e devianti sostitutivi alle attenzioni e all’amore realmente dovuti e desiderati, e, per i genitori rappresentano solamente un gesto meramente compensatorio attuato con la precisa finalità di nascondere l’evidenza della loro incapacità genitoriale e i loro problemi familiari.
I vari meccanismi di cui il minore è soggetto agente o passivo, però, non annullano la realtà e l’ esperienza di violenza che ha subito (direttamente o indirettamente). E’ bene ribadire che né l’età né il grado di sviluppo del bambino impediscono la percezione della violenza e le sue conseguenziali ferite psicologiche. Siamo di fronte ad un vero e proprio abuso primario.
Purtuttavia, tali situazioni, non trovano corrispondenza in alcuna fattispecie specifica di reato, nella quale il minore sia persona offesa per i reati che si compiono in sua presenza verso altri componenti del nucleo familiare, pertanto, saranno i comportamenti nei quali si concretizza la violenza assistita ad essere ricondotti alle varie fattispecie di reato esistenti. Ad esempio, le condotte incriminate potranno essere ben ricomprese nel reato di maltrattamenti in famiglia ex art.572 c.p. Conseguentemente, dal punto di vista sanzionatorio, ex art. 282 bis c.p.p., il giudice potrebbe prescrivere a colui che si sia reso artefice di tali comportamenti, di lasciare immediatamente la casa familiare ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza previa l’autorizzazione; così come prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti. In ambito civile, invece, si può far riferimento agli articoli 342 bis e 342 ter c.c., i quali dispongono che, quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, possa ordinare al coniuge o al convivente la cessazione della condotta pregiudizievole disponendone, financo, l’allontanamento dalla casa familiare, e ove ritenuto necessario, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati da coloro che hanno subito tali vessazioni. In alcuni casi, il giudice può disporre, anche l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, così come l’intervento delle associazioni che sostengono e accolgono donne e minori o altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti.
Ad ogni buon conto, in sintesi, bisogna evidenziare che sempre più spesso, nelle aule di Tribunale, tali forme di violenza, seppur non normate nella loro specificità, assumono rilevanza pregnante e vengono trattate al pari di veri e propri abusi sui minori. Giova a tal proposito evidenziare, come esempio di tale propensione, la sentenza della Corte di Cassazione del 29 gennaio 2015 n. 4332 che richiama l’orientamento per il quale integrano il delitto di cui all’art. 572 c.p. non solo fatti commissivi lesivi della personalità della persona offesa, ma anche di tutte quelle condotte omissive connotate da una deliberata e volontaria indifferenza e trascuratezza verso i primari e basilari bisogni affettivi ed esistenziali della prole da tutelare. Da ciò ne discende che, nel delitto di maltrattamenti può ben essere compresa e considerata la posizione passiva dei figli minori che siano “sistematici spettatori obbligati” delle manifestazioni di violenza, anche psicologica, di un coniuge nei confronti dell’altro coniuge. Le ripercussioni sui minori devono essere il frutto “di una deliberata e consapevole insofferenza e trascuratezza verso gli elementari ed insopprimibili bisogni affettivi ed esistenziali dei figli stessi, nonché realizzati in violazione dell’art. 147 c.c., in punto di educazione e istruzione al rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare regolata dall’art. 30 della Carta costituzionale”(cfr. C.C. 29 gennaio 2015 n. 4332). @riproduzione riservata