Il danno da chirurgia estetica rientra in quella tipologia di lesioni dovute a malasanità che non concerne solo cicatrici o segni visibili sul corpo, ma anche il turbamento della nostra integrità psico -fisica.
Spesso siamo dinanzi non solamente ad un problema estetico che danneggia la nostra immagine personale, ma a situazioni che inficiano potenzialmente la nostra attività lavorativa. Tutto questo rientra in quelli che sono chiamati danni patrimoniali. Oltre ciò, la richiesta di risarcimento può riguardare anche il c.d. danno morale che può essere rappresentato come la sofferenza interiore provata dalla vittima.
Ad ogni buon conto, a parte questa suddivisione, risulta comunque molto difficile quantificare quelle che sono le conseguenze di un intervento di chirurgia estetica andato male. Per fare una valutazione realistica dei danni bisogna adeguatamente valutare come il peggioramento dell’aspetto esteriore abbia influito anche sulla vita sociale e lavorativa della vittima. Ci aiuta una apposita tabella diffusa dal Ministero della Salute, che ha lo scopo di quantificare con un punteggio i danni dovuti alla chirurgia estetica. Però queste voci vanno assolutamente calate nel caso di specie ed integrate con le risultanze che verranno fiori dall’analisi dei fattori specifici del caso concreto, quali quelli lavorativi, relazionali e/o psicologici.
Nella chirurgia estetica il risultato, ovvero il miglioramento estetico del paziente, rappresenta la causa del contratto. Sul punto si è espresso in modo assolutamente chiaro anche il Tribunale di Bari con la sentenza del 04/09/2018, stabilendo che, in materia di chirurgia estetica, si prescinde dalla qualificazione dell’obbligazione del medico come di mezzi o di risultato, in quanto il paziente si rivolge ad un chirurgo plastico spesso per finalità esclusivamente estetiche ovvero per eliminare un difetto e conseguire, quindi, un determinato risultato, non solo per curare una malattia.
La fattispecie concreta dalla quale scaturisce tale sentenza, riguardava una donna che aveva subito un intervento di chirurgia plastica al setto nasale che presentava un piccolo gibbo sul dorso. In particolare, il medico chirurgo aveva riferito alla paziente che sarebbe stato necessario un intervento di rinosettoplastica, anziché una semplice rinoplastica per eliminare l’inestetismo.
La donna lamentava che, nel decorso post operatorio, ella era stata seguita da un altro medico, il quale aveva riscontrato un insellamento del dorso nasale causato dall’asportazione eccessiva di frammenti ossei durante l’operazione chirurgica, che si sarebbe potuto risolvere solamente mediante un nuovo intervento chirurgico. Stante la responsabilità sia del medico operante che della struttura sanitaria, la donna li citava in giudizio per vederli condannati al risarcimento di tutti i danni subiti.
Le controparti, nel contestare la domanda attorea, deducevano, tra le altre argomentazioni, che quella del medico era un’obbligazione di mezzi e non di risultato, ed, inoltre, che la responsabilità dell’accaduto doveva imputarsi alla medesima paziente che aveva lasciato l’ospedale contro il parere del chirurgo.
Conclusa la fase istruttoria, il Giudice ha specificato che in tali casi si verte in tema di obbligazione di risultato poiché il miglioramento estetico del paziente rientra nel nucleo causale del contratto e ne determina la natura. In sintesi, poiché la finalità dell’intervento di chirurgia estetica è migliorare l’aspetto fisico del paziente ed incrementare la positività della sua vita di relazione, in tali casi si verte in materia di obbligazione di risultato e che l’accertamento dell’esistenza del nesso causale deve ricondursi alla regola del “più probabile che non” il cui relativo onere probatorio grava sul paziente danneggiato che ha comunque l’onere di dimostrare il nesso causale tra il fatto denunciato ed il danno avuto.
A tal ultimo riguardo, si segnala anche la sentenza n. 8243 del 24/07/2017 del Tribunale di Milano, con la quale il Giudice ha avuto modo di precisare che “grava sul paziente l’onere di dimostrare: i) la sussistenza del nesso causale tra la lesione del suo diritto alla autodeterminazione e la lesione della salute derivante da una prevedibile conseguenza di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma non correttamente assentito dal paziente (dovendo il paziente provare, anche mediante presunzioni, che ove adeguatamente informato avrebbe rifiutato l’intervento); ii) la sussistenza del danno derivante dalla mancata informazione, danno declinabile sia in termini di lesione del diritto alla salute (per le conseguenze invalidanti derivate dall’intervento) sia in termini di lesione del diritto all’autodeterminazione ( purché ne sia derivato un pregiudizio non patrimoniale di apprezzabile entità)”.
Infine, giova evidenziare che nella liquidazione del danno da chirurgia estetica vanno calcolati anche i danni psicologici arrecati. Con l’ordinanza n. 25109/2017 la Corte di Cassazione ribadisce che anche nel caso del danno da chirurgia estetica, derivato da un intervento chirurgico mal eseguito, per calcolare la portata effettiva del danno vanno considerati anche i fattori psichici e relazionali, oltre che quelli fisici. Il fatto dal quale scaturisce tale disposizione riguardava una modella che si era sottoposta ad un intervento estetico che non solo non aveva prodotto il risultato sperato ma le aveva financo lasciato delle brutte cicatrici sul corpo. In particolare, la paziente appena ventenne si era sottoposta ad un intervento di ingrandimento del seno, liposuzione delle cosce e rinoplastica. Durante l’istruttoria era stato accertato che, a causa della professione della donna, il danno da chirurgia estetica non si era limitato ad arrecarle dei danni fisici evidenti dovuti alle antiestetiche cicatrici, ma anche una sofferenza psicosomatica. La valutazione complessiva dei danni, quindi, doveva tenere da conto anche dell’evoluzione del profilo psichico della patologia riscontrata.
Chirurgia estetica: responsabilità del medico e risarcimento dei danni