Quando si verifica un disservizio sulla linea di utenza la prima cosa da fare consiste nell’invio di un RECLAMO all’operatore, secondo una delle modalità indicate nella Carta dei servizi dell’operatore scelto (di solito per mail, fax, raccomandata).
Nel reclamo deve essere indicato specificatamente il tipo di disservizio o guasto che si sta subendo, chiedendone la tempestiva soluzione e contestualmente il riconoscimento degli indennizzi spettanti e previsti, a seconda della fattispecie, dalla Carta dei servizi stessa e dalle norme di legge.
Ogni compagnia telefonica ha una tempistica prestabilita entro la quale rispondere. In caso di mancato rispetto di questo termine, sono previsti ulteriori indennizzi, di cui se ne trova la specifica sempre nella Carta dei servizi attinente all’operatore prescelto.
Ad ogni buon conto, secondo la delibera Agcom in materia di indennizzi, se l’operatore telefonico non fornisce risposta al reclamo entro i termini prestabiliti, è tenuto a corrispondere al cliente un indennizzo pari ad € 1,00 per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di euro 300,00. L’indennizzo è calcolato in misura unitaria a prescindere dal numero di utenze interessate dal reclamo e anche in caso di reclami reiterati o successivi, purché riconducibili al medesimo disservizio.
Se il reclamo non ha risposta e/o la risposta è insoddisfacente perché non riconosce l’indennizzo e il risarcimento richiesto, si può presentare un’istanza motivata al Co.Re.Com (Comitato regionale per le comunicazioni), che è un organo del Consiglio regionale con compiti di consulenza, garanzia e vigilanza nel settore delle telecomunicazioni, per tentare la conciliazione e risolvere in via transattiva la questione. Tale primo passaggio è obbligatorio, difatti il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo di conciliazione summenzionato.
Il procedimento di conciliazione inizia con un’apposita istanza al Co.Re.Com competente per territorio, individuato in base al luogo in cui è ubicata la postazione fissa ad uso dell’utente finale o, negli altri casi, al domicilio indicato dall’utente al momento della conclusione del contratto o, in mancanza, alla sua residenza o sede legale. Nell’istanza devono essere necessariamente indicati: il nome, il cognome e la residenza o il domicilio dell’utente, il numero dell’utenza in caso di servizi telefonici, la denominazione e la sede dell’operatore. L’istanza deve essere accompagnata dalla fotocopia di un documento di identità dell’utente interessato. Nell’istanza devono essere inoltre indicati: i fatti che sono all’origine della controversia tra le parti; gli eventuali tentativi già esperiti per la composizione della controversia; le richieste dell’istante; i documenti allegati. L’istanza può essere presentata: a mano con rilascio di ricevuta; a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento; a mezzo fax; per posta elettronica certificata; on line tramite il sito web del Co.Re.Com competente. Il Co.re.com verifica l’ammissibilità dell’istanza e comunica alle parti la data per l’esperimento del tentativo di conciliazione. Le parti devono comparire personalmente oppure possono delegare altri soggetti muniti di procura. Si può richiedere anche di partecipare all’udienza in videoconferenza o tramite strumenti telematici. Se le parti trovano un accordo, viene redatto un verbale in cui si indicano i punti controversi e si dà atto dell’accordo, specificandone il contenuto. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo. Se, di contro, l’accordo non viene raggiunto, il responsabile del procedimento redige verbale negativo, annotando solo l’oggetto della controversia. Se le parti non si presentano in udienza, occorre distinguere tre ipotesi: 1)se la parte convenuta non compare in udienza, il responsabile del procedimento dà atto nel verbale dell’esito negativo della procedura di conciliazione; 2) se la parte istante o entrambe le parti non compaiono in udienza, il responsabile del procedimento redige un verbale di mancata comparizione ed il procedimento viene archiviato; 3) se l’assenza delle parti è dipesa da giustificati motivi, comunicati per tempo al responsabile del procedimento, questi fissa una nuova udienza, dandone avviso alle parti.
Se neppure in fase di conciliazione l’operatore riconosce l’indennizzo dovuto e se, in ogni caso, si intende agire per ottenere il risarcimento del danno causato dal disservizio, è possibile adire il Giudice territorialmente competente, instaurando una vera e propria causa civile, nella quale si chiederà espressamente il risarcimento di tutti i danni subiti, quali:
a) danni patrimoniali: danno emergente (es. necessità di ricorrere ad altre utenze, con costi per altre schede) e lucro cessante (es. perdita di clienti e di chance di guadagno);
b) danni non patrimoniali: danno biologico (es. per stress derivante dalla mancata tempestiva risoluzione del problema e dall’isolamento dell’utenza) e danno all’immagine (es. lesione dell’immagine e reputazione professionale, nel caso delle utenze business).
Nello specifico, per i clienti business, ai fini del risarcimento, pertanto, bisogna dimostrare di aver subito un danno, che può essere sia di natura economica, che di immagine.
Per i danni di natura economica si è tenuti a dimostrare il cosiddetto “lucro cessante”, ovvero la diminuzione delle “chance” di guadagno dal giorno dell’impossibilità di connettersi alla rete e/o alla linea telefonica fino al ripristino del servizio, quindi è necessaria la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
Per quello che concerne il danno all’immagine, invece, si deve dimostrare che, a causa del disservizio che ha determinato una sospensione dell’attività, si sia causata, oltre alla perdita potenziale di clienti, una diminuzione della propria affidabilità e credibilità sul mercato. Anche tale danno può essere provato in via presuntiva.
Qualora sia riscontrata l’esistenza del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa non solo quando è impossibile stimarne con precisione l’entità, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso sia difficoltosa. (cfr. Corte di Cassazione sent. n. 23154/14 e C.C. sez. III n. 1418/2011).