In una sentenza della Corte di Cassazione (C.C. n.16401/2014) i supremi Giudici hanno affrontato un caso specifico di responsabilità medica attinente all’azione di risarcimento danni avanzata da una donna nei riguardi del proprio ginecologo incorso in una diagnosi errata sullo stato di gravidanza della sua assistita.
La donna, al momento dei fatti era nubile, mentre il padre del concepito era coniugato, nelle sue difese sostiene che avrebbe interrotto la gravidanza se fosse stata informata del suo stato dal medico. La stessa lamenta di aver scoperto di essere incinta quando era ormai spirato il termine previsto dalla legge per l’interruzione della gravidanza (ex art. 4 della Legge n. 194 del 1970).
Nel corso del giudizio di merito dinanzi al Tribunale competente, evidenzia i danni patiti a seguito dell’errore medico: sia di ordine patrimoniale ( relativi agli oneri di mantenimento sostenuti), sia di ordine non patrimoniale, avendo la stessa dovuto rinunciare alle attività lavorative progettate e avendo patito anche un grave disagio morale.
Il Tribunale, accoglie solo parzialmente le domande della donna, ritenendo il professionista convenuto tenuto al solo risarcimento del danno esistenziale e non anche a quello patrimoniale, sulla base del convincimento che non fosse stata provata in giudizio l’esistenza della volontà della donna di interrompere la gravidanza, se ne fosse stata tempestivamente informata.
La donna impugnava la sentenza in Corte di Appello, che confermava la sentenza di primo grado. Pertanto, decide di proporre ricorso in Cassazione.
La ricorrente, in particolare, deduce la violazione dell’art. 1223 c.c., da parte della Corte d’Appello, a causa dell’esclusione dell’esistenza di un valido nesso causale tra l’errore del ginecologo e la prosecuzione della gravidanza.
I Giudici della Corte non ritengono di condividere le argomentazioni della ricorrente ribadendo che il giudice di secondo grado non ha negato che fossero risarcibili i danni derivanti da un fatto illecito, ma ha unicamente affermato che dall’illecito non sono derivati danni patrimoniali, ovvero che gli stessi non erano stati adeguatamente provati. Ribadiscono, inoltre, che tale decisione è ben motivata e non meritevole di censure. Sono concordi con le osservazioni delle Corti di merito che hanno escluso l‘esistenza di un nesso causale tra l’errore del ginecologo e la prosecuzione della gravidanza.
Sulla base delle precedenti argomentazioni, hanno rigettato il ricorso, motivando che “l’eventuale lesione del diritto di interrompere la gravidanza è dunque giuridicamente irrilevante se la gestante, quand’anche informata, avrebbe comunque verosimilmente scelto di non abortire”.
Bisogna, inoltre, sottolineare che la sentenza in esame mostra di condividere l’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite nelle note pronunce nn. 26972-3-4-5 dell’11.11.2008, con le quali è stata definitivamente respinta “l’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”.
Omessa diagnosi di gravidanza e risarcimento del danno